Ci si domanda ancora cosa abbia scatenato l’attacco russo all’Ucraina. Sotto casa sul muro c’è ancora la scrittaUngheria 1956, in occasione di una annosa polemica antiamericana. Ora invece il clima è quello del plauso ai reportage di Montanelli nel ’40 da Helsinki, con la medesima simpatia per un piccolo paese, già parte dell’impero, vittima del grande aggressore russo che stentava a vincere. L’Ucraina 2022 come la Finlandia di 80 anni fa. Macchina diesel, l’armata russa è storicamente poco adatta alla blitzkrieg, lenta ad ingranare, potente nella reazione del lungo periodo e soprattutto formidabile nelle controreazioni contro stranieri e non ex connazionali. Analogamente gli ucraini danno il meglio di sé nella difesa, piena di volontà e di volontari, della loro Guerra Patriottica, mentre i primi colloqui di pace evidenziano lo scoraggiamento russo.
Pace però non sarà. Sul campo ci sono gli eserciti slavi e non ne verranno altri. Il tam tam mediatico, finanziario e digitale occidentale non spara e non sgancia bombe; le misure decise avranno effetto negli anni e non nei mesi determinanti di guerra. La Russia è già isolata e sanzionata da quasi un decennio; più starà male, più si compatterà. A scoppio ritardato nel 2020 Mosca è stata condannata per la prima guerra europea del XXI secolo, quella contro la Gruzia del 2008. Quindi nel 2035 ci sarà la censura per la nascita delle repubbliche Lugansk e Donetsk nel Donbass.
La guerra è soprattutto volano acceleratore di formidabili innovazioni tecnologiche e politiche. Se nesono già determinate due e mezza, non di poco conto. Prima la nascita di due repubbliche ucraine orientali, poi con il referendum di Minsk del 27 febbraio la Bielorussia è stata annessa al sistema nucleare russo, in cambio dell’estensione del potere del viceré Lukascenko ai tempi attesi per la presidenza Putin. In risposta la Nato potrebbe allargarsi, non all’Ucraina, ma a Svezia e Finlandia. La volontà di allontanare le frontiere calde ha l’esito contrario di renderle adiacenti, ferro contro ferro.
L’Europa ha un unico strumento di intervento e non è militare. Il 10 e 11 marzo p. v. potrebbe, sotto la presidenza francese, accettare l’adesione ucraina all’Unione, saltando le difficoltà burocratiche che ne prevedono la presa in carico nel 2024 e la risposta in un decennio. Il gesto coraggioso e intelligente è nelle corde dell’accorato, romantico e grand ego del presidente Macron, ma l’esperienza delle relazioni con la Turchia fanno pensare al peggio. L’adesione dell’Ucraina sotto le bombe, di un matrimonio all’italiana, stile Filumena Marturano, sarebbe la vendetta storica dei settecentocinquantamila ucraini d’Europa e delle duecentomila badanti d’Italia per un paese mai preso sul serio, per un governo sfottuto, per una moneta ridicolizzata dalla sottovalutazione dei Annunziata e Di Bella.
Non l’adesione alla Nato, ma il rifiuto nel 2013 dell’accordo europeo di associazione (non adesione) in sostituzione del partenariato del ’98, determinò la deposizione del presidente Janukovyč, la rivolta di piazza Maidan, poi la perdita della Crimea e di parte del Donbass. Il wishful thinking ucraino, sponsorizzato da Bush II, di essere, dopo la Macedonia del Nord, il 31° membro Nato, dura da 17 anni, dalla presidenza arancione Juščenko del 2005, a parte un quadriennio filorusso; né averlo fissato in Costituzione tre anni fa, nel V° anniversario di Maidan, cambia alcunché. Il nuovo, dal 2019, presidente Zelenskyy, malgrado le accuse di nazitudine, ha cercato un rapporto migliore con la Russia senza cambiare rotta. L’Europa avrebbe dunque capacità politiche di manovra ben superiori all’invio di armi.
Certo, come status democratico l’Ucraina è più simile alla Russia che all’Occidente: i recenti miglioramenti di bilancio, da sotto $ 100 miliardi del 2014 ai 150, passano per l’export di materie prime e per l’escalation della produzione militare del kombinat Ukroboronprom, con missili antidroni, sistemi anticarro, tank, robotica militare, esplosivi ed il rilancio della società Antonov che dalla quasi chiusura è rinata con il programma Salis della Nato che ha ora la disponibilità degli aerei ucraini (raffronto con i pil di Romania 250, Bulgaria 70, Serbia 50, Moldavia e Macedonia del Nord 12, Polonia 550, Russia 1500).
Un vero casus belli del conflitto non c’è stato. Non un aiuto al Fidel cubano o ai talebani di Rambo; non l’escalation nucleare, in corso da anni; non il lamento russo per 13mila morti in 8 anni di conflitto del Donbass, eguagliati in 5 giorni di guerra, non segnali concreti dell’avvicinamento Nato alla regione. Le reprimende e sanzioni alla Russia sono state accompagnate da continui alti lai democratici a sostegno dellemanifestazioni dell’opposizione russa, a denuncia di avvelenamenti, incarceramenti, repressioni, brogli nelle elezioni russeebielorusse. L’acmedell’europremioSacharov alla figlia dell’oppositore russo detenuto Navalny, si è perso davanti alla repressione polacca sugli immigrati raccolti al confine dai cattivi bielorussi. L’appeasement di bismarkiana memoria e sostanza, della dimessasi da poco, l’ex kanzlierin Merkel, nata nella Ddr, stava nel raddoppio del gas del North Stream II. Sta nel proseguo delle forniture russe anche in queste settimane.
Dalla rivoluzione delle rose a quella del velluto, dalla primavera arabosiriana a piazza Taksim, alla rivolta delle ciabatte, nessun movimento di piazza, sempre sospettato di colpo di stato occidentale, ha prodotto più democrazia, anzi. Né in Gruzia, Armenia, Caucaso, Asia centrale, Libia, Siria, Turchia, Bielorussia. Hanno funzionato meglio le sollevazioni di piazza dei separatismi filorussi, ormai a Mosca già accademia del государственного строительства, State Building, altrettanto finto dell’occidentale Peace Keeping. Pratiche sottotraccia di mercati in enclavi chiuse, contrabbando allettante per i connazionali dell’estero vicino, passaporti distribuiti sottomano (contrapposti a quelli gold concessi in Occidente agli oligarchi), tra zingarismi e tecnologia digitale, hackeraggi e monete de facto, sono state lo strumento collaterale di politica estera per ribadire una presenza unofficial. Dalla Trasnistria del ’92, striscia sottratta de facto alla Moldavia, ai distretti georgiani di Abkhazia e Ossezia del Sud al Nagorno-Karabakh da trent’anni in guerra. Qui le scarpe chiodate russe nel 2020 hanno pacificato l’Armenia della rivoluzione del velluto e l’Azerbaigian, parente del turco e membro Nato Erdogan. Pacificazione proseguita poche settimane fa, dal Csto (la Nato russa) in un altro paese turcomanno, il Kazakhstan.
Il casus belli non è neanche il derby ideologico tra il gruppo Wagner russo e il battaglione Azov ucraino. Mercenari,gli uomini del Wagner dell’oligarca cuoco Prigozhin, come quelli del Sewa Security, hanno affiancato le campagne del Cremlino in Africa, in Sudamerica, in Crimea con operazioni in nero di guerriglia e repressione. L’Azov, inquadrato nella Guardia nazionale, con ca. 12mila volontari, è divenuto famoso per la guerriglia del Donbass, dove ha liberato Mariupol, con altri battaglioni civili dell’Asn, dell’Aidar, Dnepr-1, Dnepr-2, Donbass, Duk e dei Patrioti d’Ucraina; addestrato da istruttori della 173a aviotrasportata Usa, figuranti come dipendenti di contractor privati come Lancaster-6 e Blackwater Academi già famosi in Iraq e Afghanistan.
I volontari dell’Azov, molti dei quali russi, sono ispirati dalla destra antistalinista e antisovietica i cui simboli travalicano facilmente nel neonazismo ed i cui riferimenti in politica sono il Settore Destro (Pravni Sektor). Inutile però cercare chi sia stato nella storia qui più criminale, se il comunista o il nazista. Inutile anche cercare chi sia più stragista tra i contractor, ereditati dall’esempio americano, in salsa ideologica slava. Entrambi si caratterizzano pestaggi, devastazioni, roghi, uccisioni di prigionieri, fosse comuni, tortura fisica e psicologica. Dopo una certa stasi, la ripresa degli attacchi ucraini nel Donbass ha rinfocolato le reciproche accuse di nazisti e banderovzi (accezione negativa per ucraini). Un tipo di propaganda molto sentito tra le parti che sostanzialmente parla di repressori e traditori, malgrado i massivi rapporti di consanguineità e parentele. Per i silovniki di Mosca i connazionali rivoltosi sul campo sono criminali, banditi e teppisti, utili però contro i fascisti moldavi di Chișinău, grusini di Tblisi ed ucraini di Kiev. Parametri staliniani per giudicare i paesi vicini ostili che a loro volta ricordano lo sterminio del revanscismo russo. Poiché lo stalinismo è stato utile all’Occidente, è difficile krimnearlo a fasi alterne.
Forse il casus belli è stato il filotto di successo di Putin, dalla Siria alla Libia, all’estero vicino fino al capolavoro di snaturare la Nato attirando Ankara nella intesa russoturcairaniana, sapendo convivere con i punti di contrasto. Un filotto parallelo al disastro Usa in Afghanistan, alla divisione interna americana, alla debolezza della presidenza Biden. Ora l’invasione dell’Ucraina ha compattato l’Occidente ed il suo enorme potere finanziario digitale. La storia però ci ricorda che in tre conflitti ucraini portati da svedesi e tedeschi, i russi ne sono sempre usciti vincitori. Non è credibile il gioco della demonizzazione per Putin, applicato a Saddam e Bin Laden, e non riuscito con Assad e Maduro. È pura immaginazione prevedere la caduta di un Presidente che è espressione di un sistema apicale di potere statuale e non suo carceriere. La forza della finanza digitale può ridurre l’economia russa alla sua metà, dopodiché l’effetto sarà peggiore sullo stesso Occidente che non può ridurre i suoi consumi quanto ne è capace la Russia.
Resta saldo in Russia il concetto di estero vicino, ideato ad agosto ’92, sull’Izvestiya, da Kozyrev, ministro degli esteri liberale di Yeltsin. Si trattava allora di proteggere i 25 milioni di connazionali finiti nolenti all’estero quando la Russia europea aveva fatto un roll back fino ai confini di quasi 4 secoli fa di Ivan il Terribile.. Il Ближнее Зарубежье è geopolitica elastica; può essere la Polonia, già zarista, oppure la Bulgaria che chiese l’annessione a Breznev; oppure la Finlandia anestetizzata e la Serbia (punto più lontano dell’estero vicino).Con il Come ricostruire la nostra Russia? del vate Solženicyn nel ’90 può essere solo l’unità dei tre paesi slavi. Anche sola, per la Russia esisterebbe sempre l’estero vicino slavo e ortodosso. Assurdo minacciare le corti penali internazionali, bisognerebbe passare alla guerra diretta o all’offerta di aree di influenza.
Stretto attorno al paese aggredito l’Occidente si scatena in cosa sa fare meglio, come la Tv del dolore degli sfollati, il pacifismo sterile, le schermate dei videogames in sostituzione di ciò che i corrispondenti non vedono. Brandisce la libertà contrapposta alla demotura russa in una pretesa valoriale alquanto debole. L’hybris omerica Usa è stata una trentennale guerra continua in Iraq, balcani, Somalia, Panama, Afghanistan, Sudan, con l’economia mondiale messa nelle mani di una grande dittatura e l’indipendenza dei popoli, anche nella sfera più privata, travolta da un estremismo liberale in lotta con sé stesso. Senza interventi esterni Putin renderà l’Ucraina vassalla, poi affronterà la punizione economica. Il vivace e distratto Occidente, dopo tanto clamore, prenderà la cosa per una questione interna slava che non lo riguarda. Quando non vince, l’Occidente abbandona l’argomento.
Giuseppe Mele
Dr Anvilon
Tutto si riassume nell’assenza di una vera Europa, priva di una socialità condivisa (da contrapporre alle fazioni presuntivamente politiche), di un’economia a valore aggiunto di una produzione non concorrenziale interna ma di blocco (e quindi non “affari privati” dei singoli stati, statini è staterelli), di una comune forza militare di deterrenza (in luogo dei plurimi interventini sparsi nel mondo). Mi permetto di ricordare che l’ammodernamento delle forze armate neo sovietiche è anche un “regalo” (diretto/indiretto/fortuito/ecc.) della NATO in funzione di altro, dove si pensa diversamente. Un rinnovato studio della storia della Russia (mai affrontato, seriamente, in Italia eviterebbe figure meschine …).
giuseppe Mele
A riguardo c’è Graziosi senior