E’ uscito il primo volume della “monumentale” tetralogia di Claudio Guidi su Federico II di Prussia (Federico il Grande. Un re filosofo nel secolo dei lumi Ediz Il nuovo Melangolo 2023) . In questo primo saggio si ripercorre la giovinezza, l’ascesa al trono nel 1740 e la conquista della Slesia. L’opera complessiva rappresenta un grande affresco che delinea i tratti umani, poetici, filosofici, militari e politici del più grande sovrano del suo secolo.
Ne parliamo in questa intervista:
D. Quale era la vocazione del giovane Federico ?
R. Quella del poeta e del musicista. Ha composto un’opera poetica più vasta di quella di Molière, per riconoscimento unanime dei contemporanei suonava il flauto da virtuoso e se fosse vissuto oggi avrebbe riempito da solista le sale da concerto di tutto il mondo. Per questo suo amato strumento ha composto 126 sonate, molte delle quali ancora oggi eseguite, più altre sei sinfonie.
Cosa gli impedì di seguirla ?
Il guaio per lui fu di avere un padre dispotico oltre misura, Federico Guglielmo I, il re sergente, che fece di tutto per togliergli dalla testa queste attitudini innate e farne un soldato, picchiandolo spesso e volentieri in una maniera così brutale da fare inorridire ancora oggi.
D. E ci fu un addirittura un tentativo di fuga a Londra. Un evento drammatico…
R. Che per miracolo non gli è costato la vita, poiché il padre pretendeva che venisse condannato a morte per diserzione, ma nove giudici militari con enorme coraggio si opposero. Il risultato fu di obbligarlo ad assistere dalla finestra del carcere alla decapitazione dell’amico Katte, che aveva tentato di aiutarlo a fuggire, una crudeltà che lo fece svenire
D. Poi, però, divenne uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi… profondamente innovatore nell’arte militare …
R. Anche in questo caso si può parlare tranquillamente di un genio, che si guadagnò l’ammirazione incondizionata di Napoleone, il quale vent’anni dopo la sua morte e dopo la vittoriosa battaglia di Jena del 1806 portò i suoi generali davanti alla sua tomba per pronunciare queste parole che spiegano tutto: “Signori, se lui fosse ancora in vita, noi oggi non saremmo qui”. Poi Napoleone rubò la sua sveglia dalla camera da letto e la spada, anche se un solerte prussiano riuscì all’ultimo momento a sostituirla con una copia!
D. E non abbandonò l’amore per la filosofia e la letteratura
R. Federico rimase fino all’ultimo un lettore voracissimo, sempre al corrente di tutto quello che si pubblicava in Francia, allora il paese culturalmente dominante. Riusciva a citare a memoria interi atti delle tragedie di Racine, il suo tragediografo preferito, oltre a quelle di Voltaire, il poeta amato più di ogni altro, con il quale intrattenne un carteggio gigantesco dal 1736 al 1778, l’anno della scomparsa del patriarca di Ferney. La cosa più sensazionale era quella di essere culturalmente e filosoficamente non solo alla sua altezza, ma di riuscire anche in non poche occasioni a dargli importanti lezioni. Lo stesso avvenne con d’Alembert, con il quale corrispose per tutta la vita. Il segretario di Fritz riferisce sbalordito che alla vigilia di una battaglia lo trova intento a scrivere versi, invece che a riflettere sui piani per sconfiggere il nemico il giorno dopo, cosa che gli riesce spesso in condizioni di inferiorità numerica con metà o un terzo delle truppe a sua disposizione per affrontare quelle soverchianti di austriaci e francesi. Quando il segretario gli dice che nessun altro generale farebbe versi la sera prima della battaglia, la risposta è fulminante: “Se sapessero farli, li farebbero. Ho già preso tutte le mie disposizioni, adesso ho bisogno di distensione”.
D. Sovrano riformatore, re senza pompa e con il gusto dell’autoironia
R. A Sanssouci non c’era corte, non c’erano guardie ed i cittadini potevano recarsi personalmente a presentargli le loro suppliche o le loro rimostranze, come documentano anche diversi e stupefatti osservatori stranieri. Un giorno che Federico passa a cavallo a Berlino e vede una folla radunata davanti a un manifesto, per guardare una caricatura fortemente critica nei suoi confronti, si avvicina, legge il testo e prima di allontanarsi dice a chi lo accompagna: “Fate affiggerla più in basso, così la gente non deve stirarsi il collo per leggere”. Inutile descrivere a quel punto l’esultanza e gli evviva della folla!
D. Re assolutista …ma è vero che era anche dispotico ?
R. Dispotico nel senso che riteneva di dover essere lui come sovrano assoluto a dover decidere, anche perché si assumeva ogni responsabilità, senza scaricarla sugli altri. Si definiva il primo servitore dello Stato, faceva pagare tasse comprese tra il 2% e il 10%, esentava gli operai dal loro pagamento, eliminò la servitù della gleba nei latifondi demaniali e non a caso l’elogio maggiore lo ricevette da Marx, quando riconobbe che “fu Federico a distribuire la terra ai contadini”.
Quando muore nel 1786 lascia nelle casse dello Stato un attivo di 50 milioni di talleri, una cifra colossale pari a qualche migliaio di miliardi di euro di oggi. Sul concetto di dispotismo il giudizio più esatto l’ha forse dato Voltaire, in riferimento ad un sistema politico rappresentativo come quello esistente allora in Inghilterra, modello di quelli che conosciamo oggi: “Preferisco obbedire ad un leone con una bella criniera, piuttosto che a 200 ratti della mia specie”.
D. E’ nota la sua misoginia. Questo influì sui suoi rapporti con la Pompadour e con Maria Teresa d’Austria?
R. La sua misoginia è una delle note dolenti della sua personalità, soprattutto per il modo in cui ha trattato la moglie Elisabeth Christine, che gli è sopravvissuta, ma che non ha mai avuto il diritto di mettere piede nella reggia di Sanssouci, dove del resto non ha fatto entrare nessun’altra donna. Federico sosteneva che “per rovinare un paese, basta farlo governare da una donna”.Quando l’imperatrice austriaca Maria Teresa morì nel 1780, sei anni prima di lui, ebbe tuttavia la grandezza di scrivere che “fece onore al trono ed al suo sesso. Le ho fatto la guerra, ma non l’ho mai odiata”.
D. Anche nel rovesciamento delle alleanze mostrò un grande fiuto politico.
R. Nel senso che si era accorto con grande anticipo che la Pompadour voleva indurre l’amante Luigi XV a rompere l’alleanza con la Prussia per gettarsi nelle braccia dell’Austria, nemico secolare della Francia dai tempi del cardinale Richelieu. Il tutto per pura rivalsa delle offese rivoltele da Federico e per guadagnarsi le simpatie di Maria Teresa, che per pura convenienza politica arrivava a definirla “amica mia”, pur disprezzandola sul piano morale. Federico disponeva di un servizio di spionaggio spettacoloso.
Scoprì con sei mesi di anticipo che Austria, Francia, Svezia, Russia e Sassonia si apprestavano a saltargli addosso per eliminarlo e distruggere la Prussia. Attaccò dunque di sorpresa per primo e per questo si è guadagnato ancora oggi la patente di “aggressore”, solo perché ha avuto il buon senso di non attendere tranquillo che l’Europa intera venisse a torcergli il collo.
D. Ma ebbe anche un carattere piratesco nella questione della Slesia
R. È fuor di dubbio che l’attacco da lui condotto nel dicembre 1740 contro la Slesia, solo sei mesi dopo essere salito al trono, vada considerato come un atto di aggressione. Lo fece per sete di gloria, come ammise lui stesso, ma anche e soprattutto perché riteneva che, se non fosse stato lui ad impadronirsi di quella ricca provincia austriaca, potenze come la Francia e la Sassonia l’avrebbero fatto al suo posto, sfruttando l’inesperienza politica di Maria Teresa, salita al trono anche lei nel 1740 a soli ventitré anni e digiuna totalmente di ogni arte di governo. Forse anche in quel caso Federico aveva visto giusto, ma siccome la storia non si fa con i se e con i ma, se stiamo ai fatti dobbiamo riconoscere onestamente che in quell’occasione si comportò da pirata.
D. Valoroso, abile e anche fortunato nella guerra dei Sette Anni
R. Nei sette anni dal 1756 al 1763 Federico ha compiuto imprese militari memorabili, che lo annoverano tra i più grandi condottieri della storia. In qualche circostanza fu oltremodo fortunato, come quando i russi decisero all’improvviso di ritirarsi, cosa che definì come “il miracolo del casato del Brandeburgo”, poiché se avessero attaccato, forse lui avrebbe fatto una brutta fine.
D. La Prussia divenne con lui una grande potenza, ma soprattutto moderna
R. Federico portò un paese povero, da lui già definito “la scatola di sabbia del Brandeburgo”, a diventare una potenza pari alle altre e con un esercito di 200.000 uomini, che incuteva ormai terrore a tutti. Verifica personalmente le riforme adottate, apre scuole in ogni villaggio, dà addirittura la paghetta ai bambini per incitarli ad andare a scuola,. Nel constatare il modo rapido con il quale rimette il piedi la Prussia, dopo le devastazioni subite nella Guerra dei Sette Anni, d’Alembert esclama sbalordito che ”se questo sovrano non è degno di essere re, vorrei sapere quale altro mai può esserlo. Ho visto nei suoi Stati pochissimi poveri e prima della guerra non c’era traccia di mendicanti. La miseria prodotta dalla guerra ne ha creato qualcuno, ma tutto questo sparirà presto. I contadini lavorano, sono ben vestiti, appaiono contenti e hanno un aspetto ben pasciuto. Ecco cosa riesce a produrre una buona amministrazione nelle sabbie del Brandeburgo”.
D. Infine, come è nato il tuo progetto di una nuova e monumentale biografia?
R. Dalla constatazione che la figura più eminente del suo secolo, il re forse più tollerante, giusto e umano che la storia abbia mai visto, continua per gli storiografi moderni a portare impresso il marchio di sovrano assolutista, aggressore e guerrafondaio. Guardando con lo specchietto retrovisore attuale i fatti accaduti tre secoli fa, quasi tutta la storiografia moderna mette in evidenza soprattutto gli aspetti negativi, gli innegabili errori compiuti, anche se pochi, e la sua inguaribile misoginia, che pure era reale, enorme, ma che andava spiegata. Per i contemporanei di tutto il continente, che allora rappresentava il mondo intero, Federico assomigliava per quello che fece “all’Eterno”, come non esita a scrivere Diderot, che conclude così: “La potenza della Prussia è opera del tuo genio. Sei tu che l’hai creata, sei tu che la sostieni, diventa il benefattore di tutti i popoli. In Europa è risuonato il voto che si faceva da ogni parte per i suoi sforzi. Prima era stato ammirato, adesso sarà benedetto. una meno solenne, ma più istruttiva e più nobile: popoli, lui ha spezzato le catene che vi stavano preparando. Principi dell’impero germanico, lui non vivrà in eterno, Sullo zoccolo della sua statua avevo inciso questa iscrizione: le più formidabili potenze d’Europa si coalizzarono contro di lui e sparirono davanti a lui. Ne inciderò adesso ricordatevelo e pensate a voi”. Mi sembrava dunque giunto il momento di fare chiarezza, riportando alla luce documenti inoppugnabili, ignorati oppure deliberatamente trascurati.
Gabriele Parenti
Cenni biografici
Claudio Guidi ha iniziato la sua carriera come responsabile dell’ufficio stampa del Teatro Stabile dell’Aquila, poi ha svolto le funzioni di Dramaturg in alcuni grandi teatri berlinesi, prima di trasferirsi per molti anni a Parigi come critico teatrale e corrispondente culturale, per compiervi anche studi approfonditi sui massimi esponenti del movimento enciclopedista. Rientrato in Germania, ha continuato la sua attività giornalistica di corrispondente di agenzie di stampa e di vari quotidiani. Da oltre un decennio si dedica esclusivamente all’attività di storico e sul Settecento francese ha finora pubblicato otto volumi, entrati nelle più grandi biblioteche universitarie e nazionali del mondo. Con scadenza periodica è prevista la pubblicazione dei rimanenti tre volumi della biografia di Federico il Grande, che comprenderà un totale di oltre 2.000 pagine.
Lascia un commento