Metà anni Novanta, mi sa, intervistavo Roberto Colaninno nella cerimonia di consegna dei Premi Confindustria Mantova agli studenti di successo, Teatro Ariston. Ma le prime interviste sul giornale Gazzetta di Mantova con Colaninno erano di dieci anni prima, metà anni Ottanta, quando dirigeva ancora la Fiaam e poi Sogefi. Ricordo un approccio concreto e pragmatico ai problemi economici con una attenzione particolare alle valenza sociali e territoriali. Mi occupavo per il quotidiano di economia, industria e sindacato. Ricordo che venne, attorno all’85, una domenica mattina in via Fratelli Bandiera 32 per realizzare un’intervista e percepii la forza del coraggio e dell’ convinzione. Nel linguaggio e nella visione. Non si nascondeva le difficoltà ma cercava sempre una visione combinata. Odore di sana collaborazione.
E lo sguardo sereno a volte compunto ma disteso. Poi vennero coniati tanti titoli di definizione dai “capitani coraggiosi” alla “razza padana”. Da quando poi andai alla televisione ebbi meno occasioni di incontro diretti. Ma quella volta all’Ariston, fine Anni Novanta, davanti alle generazioni del post-tecnologici, Roberto Colaninno ci raccontò il cambiamento che avevamo in tasca col telefonino capii che lui l’imprenditore illuminato e coraggioso aveva capito dove sarebbe andato il mondo. Della parola, dell’immagine e dell mobilità. Cioè il mondo dei collegamenti. Dalle telefonate alle due e tre ruote.
Ricordo che ci disse: con questo aggeggio in tasca faremo anche telefonate. Anche. Ma faremo, soprattutto, tutt’altro. 25 anni fa.
Fabrizio Binacchi
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