Il governo è alla disperata ricerca di soldi.
Nei giorni scorsi, i giornali hanno parlato di circa 20 miliardi -davvero tanti- che mancherebbero per chiudere i conti della finanziaria 2024.
Si spiegano così alcune iniziative, di per se stesse neppure sbagliate, come la tassazione degli extraprofitti delle banche e il rinnovo della convenzione tra il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle entrate per la lotta all’evasione fiscale.
Si comprende inoltre l’imbarazzo del governo sul prezzo della benzina dove, nonostante il record europeo, non intende ridurre le accise proprio perché più aumentano le spese dei cittadini alle pompe dei distributori più crescono le entrate dello Stato.
All’orizzonte ci sono i rischi di un rallentamento dell’economia o persino di recessione mondiale, il ritorno degli obblighi europei sulla limitazione del deficit, la prevedibile crescita delle spese necessarie per pagare il servizio del debito pubblico.
Tutto questo impone allo Stato italiano la necessità di cercare risorse e di controllare bene le spese.
Ma la questione è per fare cosa, oltre che per presentare un bilancio accettabile all’Unione Europea ed evitare il default?
Non certo per accrescere la protezione sociale sulle famiglie povere e disagiate, non certo per stanziare risorse per una sanità ormai al disastro a causa del Covid e del sotto finanziamento, non certo per ridurre nelle scuole le classi pollaio e la dispersione degli alunni, non per dare più borse di studio agli universitari e neppure per qualificare l’offerta culturale, sacrificata da sempre.
Niente di tutto questo pare interessare il governo di destra che è concentrato quasi esclusivamente sull’obiettivo di realizzare una riforma del fisco che vada in direzione di una flat tax a beneficio dei più ricchi e di qualche modesta riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori.
Meno tasse ma più ingiuste per ricevere in cambio minori servizi e minore protezione sociale.
L’impianto di destra, liberista, delle politiche dell’attuale maggioranza, guidata da Fratelli d’Italia, trova un’ulteriore conferma nel rifiuto ad adottare il salario minimo che comporterebbe circa 7 miliardi di maggiori spese per le imprese che oggi sottopagano i lavoratori.
Complessivamente il modello di sviluppo che la destra persegue è chiaro: essa confida in una crescita economica affidata alle forze del mercato con pochi correttivi a favore dei ceti medi e bassi, subito nullificati a causa dell’inflazione e del taglio dei servizi pubblici.
Si tratta di una manovra di classe, contraria agli interessi dei ceti popolari, con lo sguardo rivolto al passato e destinata a fallire anche sul terreno della crescita.
Infatti, queste politiche, profondamente ingiuste, potevano avere una qualche razionalità quando la domanda estera dei nostri beni era in forte aumento grazie allo sviluppo dei paesi emergenti, ma ora, in tempi di recessione mondiale, non è sbagliato pensare che siano destinate ad un rapido insuccesso.
Il risultato sarà un Paese più povero con maggiori diseguaglianze.
A meno che la mobilitazione sociale e politica in autunno e poi il voto europeo non riescano a fermare questo sciagurato progetto.
Enrico Rossi
Lascia un commento