Ieri i cittadini dell’Ecuador sono stati chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente, che prenderà il posto del capo dello stato uscente Guillermo Lasso. La tornata elettorale è stata segnata da un clima di tensione e di violenza politica, in particolare per l’assassinio del candidato progressista Fernando Villavicencio. Il parlamentare ecuadoregno, ex giornalista d’inchiesta, è stato ucciso il 9 agosto scorso in un agguato con arma da fuoco mentre entrava in auto a seguito di un comizio elettorale a Quito, la capitale del paese. La striscia di violenza è stata alimentata nelle settimane successive da altri due omicidi in ambito politico. Il 15 agosto, infatti, è stato ucciso Pedro Briones, un leader locale di “Revolución Ciudadana”, il partito dell’ex presidente Rafael Correa. L’ultimo capitolo di una lunga striscia di violenza politica è iniziato il 16 luglio, quando una sparatoria ha messo fine alla vita di Rider Sánchez Valencia, candidato all’Assemblea nazionale dell’alleanza “Actuemos,” per la provincia di Esmeraldas. Questa alleanza sostiene la candidatura alla presidenza del conservatore Otto Sonnenholzner. Le urne, dunque, si aprono in un clima di tensione, a cui l’esecutivo in carica per il disbrigo degli affari correnti ha risposto dichiarando 60 giorni di stato d’emergenza.
Urne macchiate dal sangue?
Sebbene né Sanchez Valencia né Briones fossero candidati alla presidenza, la loro uccisione ha contribuito a infiammare un contesto già problematico. L’omicidio dell’esponente di “Revolución Ciudadana”, secondo alcuni media locali, contiene anche una minaccia – neanche troppo velata – sia all’ex presidente Correa che a Luisa González, sua erede politica nonché prima – secondo i sondaggi – fra i candidati alla guida del paese. Quest’ultima, commentando sui social la notizia della morte di Briones, ha espresso la sua solidarietà alla famiglia del defunto, ventilando l’ipotesi che lo stato ecuadoregno sia stato ormai “rilevato dalle mafie”. Per quanto riguarda l’assassinio di Villavicencio, il Consiglio elettorale nazionale (Cne) ha approvato la candidatura del giornalista Christian Zurita, in sostituzione del defunto, per il movimento “Construye”. La plenaria del Cne ha adottato all’unanimità la decisione, precisando che i voti destinati a Villavicencio verranno invece assegnati al suo sostituto. Il candidato indigeno, Yaku Perez, ha invece deciso di sospendere la propria campagna elettorale in segno di rispetto per le vittime e di protesta civile contro l’ondata di violenza.
Verso il ballottaggio?
Al momento, stando alle ultime rilevazioni, sembra del tutto probabile che si vada al ballottaggio, previsto per il prossimo 15 ottobre, tra Gonzales, data intorno al 25%, e uno tra gli altri due candidati sul podio. Uno di essi potrebbe essere proprio Zurita/Villavicencio (14% secondo i sondaggi) o Jan Topic, imprenditore ed ex mercenario dato al 21%, che più di tutti ha predicato la linea dura in campagna elettorale per reprimere la violenza e i disordini domestici. Sempre secondo i sondaggi, più di metà degli ecuadoregni ritiene che proprio la sicurezza sia il problema principale che il nuovo governo dovrà affrontare. In molti, fra osservatori politici e cittadini comuni, attribuiscono le cause della violenza dilagante alle lotte per il traffico di droga e ai problemi economici del paese andino, in particolare la disoccupazione galoppante. I candidati in lizza per aspirare alla carica di prossimo presidente dell’Ecuador hanno tenuto in settimana gli ultimi eventi elettorali in vista del voto presidenziale. Saranno più di 13 milioni i cittadini che, a partire dal mattino di domenica, potranno recarsi alle urne, dove sarà in palio non solo la guida dello stato ma anche i seggi nell’Assemblea nazionale. Il paese sudamericano si trova in una fase storica complessa, dopo che l’ex presidente Lasso è stato il primo leader ecuadoriano a invocare la “muerte cruzada”, una misura costituzionale che gli ha permesso di sciogliere la legislatura e porre fine al suo mandato. Lasso aveva dovuto affrontare un procedimento di impeachment, che ha sempre respinto come “politicamente motivato”. Ma sulla scia della sua decisione, diversi candidati si sono fatti avanti per sostituirlo, promettendo una maggiore lotta al crimine e alla violenza dilagante.
Crisi regionale?
Il clima torbido delle elezioni in Ecuador può essere considerato una cartina di tornasole dell’incandescente situazione regionale, in cui l’infiltrazione dei narcotrafficanti nell’apparato politico e istituzionale è la cifra distintiva. Dietro il fenomeno della criminalità dilagante nel piccolo paese sudamericano si celano diversi motivi. In primis, la sua posizione strategica: incastonato tra i due principali paesi produttori di cocaina, Colombia e Perù, e affacciato sull’Oceano pacifico, l’Ecuador è sede di località portuali che servono perfettamente le rotte del narcotraffico che portano verso l’America settentrionale. Come evidenzia un’analisi dell’emittente statunitense CNN, il picco della violenza che ha trasformato l’Ecuador in uno dei paesi più pericolosi della regione coincide – non a caso – con il boom della cocaina. Secondo gli analisti, i livelli di produzione globale di questa sostanza dovrebbero raggiungere livelli storici nel 2023 e gruppi criminali della regione come cartelli messicani, bande urbane brasiliane e persino cellule della mafia albanese stanno lavorando con le bande ecuadoriane, come i Choneros e i Lobos, per adattarsi all’imminente livello di sovraproduzione, alimentando i conflitti in corso nel paese.
Il commento
Di Emiliano Guanella, Corrispondente da San Paolo (RSI – Tv Svizzera e La Stampa) e analista politico
“Negli ultimi dieci anni la geografia del crimine organizzato in Ecuador ha subito una profonda trasformazione a causa del crescente flusso di cocaina proveniente dal sud della Colombia. Si calcola che almeno un terzo della droga prodotta nel paese vicino, 400 tonnellate su un totale di 1.200, attraversi il Paese seguendo due rotte principali; la prima risale il Pacifico per arrivare in Messico e negli Stati Uniti, la seconda viene trasportata nel cuore dell’Amazzonia in Brasile e da lì parte per l’Europa. Non è un caso che l’Ecuador è diventata la nazione sudamericana non produttrice, fuori cioè dal triangolo Colombia-Bolivia e Perù, dove sia stata sequestrata più droga negli ultimi due anni”.
A cura della redazione di ISPI Online Publications
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