Che il dato sull’inflazione americana pubblicato ieri, possa, in qualche modo, dare il via alla svalutazione competitiva del dollaro, non è ancora dato saperlo, ma certamente il mercato sembra orientarsi in quella direzione. L’inflazione Usa è salita meno del previsto infatti, nel mese di giugno, una crescita del 3% nel dato generale su base annua, inferiore al 3.1% atteso, e di gran lunga più bassa del 4% di maggio. Il dato mensile è cresciuto dello 0.2% meno del consensus di +0.3%, mentre la rilevazione core, ovvero quella che esclude alimentari ed energia, ha visto un aumento del 4.8% anno sui anno e dello 0.2% mese su mese, entrambi inferiori al consensus. Scendono quindi le probabilità di due rialzi del costo del denaro da parte della Fed e se a Luglio, ormai uno dei due sembra scontato, per il futuro non è così certo pensare ad ulteriori inasprimenti di politica monetaria. Ciò ha dato una bella spinta ai mercati azionari, che hanno chiuso in positivo, mentre parallelamente abbiamo osservato il calo dei rendimenti, e la discesa del dollaro.
VALUTE.
In questo momento, la caduta del biglietto verde e la forza di Euro e sterlina, riduce le aspettative di rialzo dell’inflazione importata per Europa e Uk, generata dalla debolezza del tasso di cambio, e la loro rinnovata forza è quindi vista favorevolmente un po’ da tutti, anche dagli americani, che, accettano di buon grado, in una fase di rallentamento evidente dei prezzi, di vedere un dollaro più debole per mantenere alte le quote di mercato dell’export. Da un punto di vista squisitamente tecnico, sia EurUsd che Cable hanno violato la media a 200 settimane in una fase di compressione rialzista che, come detto anche qualche giorno orsono, apre la strada al test di livelli superiori per entrambi, anche se per il Cable, che era in evidente anticipo, gli obiettivi prima di una correzione appaiono più vicini rispetto a quelli di EurUsd. Per quel che riguarda la valuta britannica infatti, è stato raggiunto un primo target a 1.3015 20 area, al di sopra del quale troviamo 1.3150 60. Correzioni però sono possibili dati gli eccessi di ipercomprato di breve termine. Sul fronte EurUsd 1.1190 appare come un primo target, e sopra di quello non c’e’ molto fino a 1.1450 1.1500. Scende anche il UsdJpy che ha toccato un minimo a 138.00 per poi correggere qualcosa, ma sembrerebbe indirizzato in area 137.00. Correzioni possibili se si salisse sopra 138.90 con obiettivi anche a 141.00 141.50. Le oceaniche si sono riprese, e AudUsd sembra poter puntare agli obiettivi posti a 0.6900, mentre per Nzd i medesimi livelli sono posti a 0.6380. Sul UsdCad attenzione ai supporti chiave di 1.3100, la cui rottura avrebbe come target 129.50. Il petrolio dal canto suo, è salito leggermente, grazie alle speranze di aumento della domanda, in caso di pivot dei tassi di interesse, con il Wti a 76.00 e il Brent tornato sopra gli 80 dollari. Tornando alle valute, interessante anche la caduta del UsdChf che ha rotto il punto tecnico a 0.8750 e sembra in caduta libera con EurChf sotto quota 0.9650 e la Snb incapace di frenarlo.
DATI MACRO.
Sul fronte dati segnaliamo il dato sulla bilancia commerciale cinese, diminuita a 70.62 miliardi di dollari mese a giugno, dai 97.37 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno, cioè ben al di sotto anche delle previsioni di mercato che erano per un incremento di 74.8 miliardi di dollari. La ragione è il calo della domanda globale che ha prodotto un calo del 12.4% dell’export sui base annuale mentre le importazioni sono diminuite del 6.8% nello stesso periodo. Il surplus commerciale verso gli Usa è invece aumentato a 28.7 miliardi di dollari dai 28.1 del mese scorso, mentre il totale dall’inizio del 2023 ha raggiunto a 151.4 miliardi di dollari. Una proiezione di 300 miliardi l’anno di surplus di bilancia commerciale con gli Usa. Ecco perché ai cinesi, per ora, rivalutare il cambio dello Yuan non piace. Sul fronte dati di oggi, occhio al Pil inglese stamani, a cui seguirà il dato sulla produzione industriale di Eurozona, mentre nel pomeriggio ad attirare l’attenzione saranno i prezzi alla produzione Usa, oltre ai soliti dati sulla disoccupazione settimanale.
Saverio Berlinzani
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