Davvero non ci si crede che nel 2023, con strumenti scientifici che ai nostri nonni parrebbero (e sovente paiono) quasi magici davvero ci stiamo dividendo sulla componente antropica del riscaldamento globale. Così pare impossibile che il vero problema, ovvero le politiche di stampo sovietico proposte per affrontarlo, non facciano accendere tutti gli allarmi di buon senso che ogni società libera dovrebbe possedere. Facciamo una piccola analisi.
Da una parte abbiamo quelli che: i cicli ci sono ogni 400 anni. Siamo in una fase calda che passerà da sola, anzi siamo alla fine della medesima. Fonti a sostegno? Nessuna, al massimo l’articolo di un geologo con numero molto contenuto di pubblicazioni e altissimo di opinioni in libera uscita su giornali locali.
Dall’altra gli ecoansiosi: è colpa nostra MORIREMO TUTTIIIIIIIIIIIIIII. Quindi dobbiamo uccidere la nostra economia e tornare a vivere nelle capanne, così Cina e India possono continuare a inquinare senza grossi problemi.
In mezzo siamo in circa tre a far notare che la reazione corretta alla notizia: “il clima sta diventando più instabile a causa dell’inquinamento” dovrebbe essere, semplicemente, dire: “va bene, adattiamoci”.
Adattarsi, banalmente, significa sopravvivere finché il normale evolversi della tecnologia non abbatta da solo il problema. Non mi credete? Qualcuno di voi ha più sentito parlare di PM 10? No? Questo perché siamo passati alle PM 2,5. Le PM 10 stavano evidentemente risolvendosi, così come si è risolto il problema delle piogge acide. Ve le ricordate? Ho quasi quarant’anni, ed era il secondo spauracchio delle elementari. Il primo era la fine del petrolio entro il 2020.
Il petrolio c’è ancora, le piogge acide no. Perché? Perché tutti gli studi di lungo periodo si basano su un errore madornale, il “rebus sic stantibus”. Cioè, se non cambia qualcosa il petrolio finirà nel 2020, il mondo non sarà più salvabile nel 2018, moriremo tutti entro il 2035. Solo che c’è un problema: le cose cambiano. Oh, se cambiano.
Quindi le soluzioni vanno trovate nel novero di quelle che non ci uccidono se le scegliamo. Questo vuol dire che il clima non sta cambiando? Che questo cambiamento non sia antropico? Nossignore, sì il clima cambia e l’uomo influisce e causa questo cambiamento.
Questo è un ragionamento lineare, chiaro, senza errori concettuali. Ed è difficilissimo da trasmettere alle due tifoserie. Che sono tutte concentrate sulla quisquillia di decidere se l’Uomo possa o meno cambiare il mondo. Certo che può, quindi? Ci dovremmo sentire in colpa perché invece che lasciar morire qualche miliardo di asiatici lasciamo estinguere qualche specie di Pisquano del Borneo? Ma anche no.
E non sentirsi in colpa, guardando alle soluzioni di medio periodo intanto che l’industria lavora a quelle di lungo termine vuol dire negare i dati scientifici? No, affatto. Semplicemente, significa decidere che salveremo tutti i Pisquani che potremo, ma non perderemo un solo punto di PIL per farlo.
Fine. La scienza funziona ancora, il comunismo continua a non funzionare. E le due tifoserie opposte avrebbero leggermente rotto i Pisquani. Del Borneo o meno che siano.
Luca Rampazzo
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