Il bilancio di 18 mesi di guerra in Ucraina è impressionante e dovrebbe far riflettere tutti coloro che con sprezzo rifiutano ancora ogni ipotesi di apertura di una trattavia e puntano alla cosiddetta “vittoria finale” di Kiev.
Secondo il New York Times, sono ben 500 mila i soldati morti o feriti tra le file ucraine e russe. Un calcolo difficile da effettuare considerato che Mosca tende ad abbassare le stime e Kiev non riporta dati ufficiali. Quelli analizzati dal quotidiano parlano quasi 300mila le vittime militari russe, compresi 120.000 morti e 170.000-180.000 feriti. Da parte ucraina, sono circa 70.000 i morti e 100-120mila i feriti.
A questi dati drammatici si aggiunge, sempre in questi giorni, la valutazione dei servizi segreti americani secondo cui la controffensiva di Kiev non raggiungerà gli obiettivi prefissati perché la Russia riesce a difendere i territori conquistati.
Quindi il conflitto proseguirà e il bilancio delle vite umane perse, per quanto impressionante, è solo parziale.
Volendo fare un paragone, la prima guerra mondiale in Italia lasciò sul campo 600mila soldati e la seconda, compreso i civili, ha fatto circa 470mila vittime.
Per capire cosa sta accadendo veramente in quelle terre, senza dare troppo credito alla quotidiana versione edulcorata della stampa e delle tv, è sufficiente pensare al lascito di macerie materiali e morali che le due grandi guerre del secolo scorso produssero nel nostro Paese e considerare che oggi la potenza distruttiva delle armi è imparagonabilmente superiore.
Come in tutti i conflitti, anche in Ucraina e in Russia, a un certo punto comincia a farsi sentire la fatica della guerra stessa e si presenta il problema del reclutamento.
Probabilmente, se sarà evitato l’uso di armi catastrofiche come quelle nucleari, la guerra prima o poi finirà con un accordo territoriale non troppo diverso da ciò che prevedeva quello di Minsk del 2015 con un compromesso su Crimea e Donbass.
Come Mussolini e Hitler, anche Putin pensava che tutto sarebbe finito con un blitz nel giro di poco tempo.
Poi l’oligarca Russo, grazie alla resistenza ucraina, ha dovuto in poche settimane rivedere i suoi piani.
A quel punto le grandi potenze occidentali, USA e Unione Europea, insieme alla Cina, all’India avrebbero potuto spingere per il cessate il fuoco e per una trattativa.
Se sono comprensibili le ragioni geopolitiche degli USA, che hanno rilanciato NATO e rimesso in moto la grande industria degli armamenti, meno comprensibile è stato l’appiattimento dell’Unione Europea ai voleri del governo degli States.
Ancor meno comprensibile è stata fin dall’inizio la posizione del PD che non è riuscito a dare un segnale di autonomia rispetto all’imperante bellicismo e di ascolto delle posizioni pacifiste; nonostante la presenza della Chiesa di Papa Francesco e il suo impegno contro la guerra.
La questione è evidentemente di primaria importanza per la politica di un partito, la cui identità non è definibile senza una posizione chiara su argomenti tanto cruciali.
Nessuno nega il diritto dell’Ucraina di difendersi e di essere aiutata di fronte ad un attacco infame, ma contemporaneamente sarebbe stato giusto chiedere con forza in tutte le sedi il cessate il fuoco e l’apertura di una trattativa poteva che, a mio avviso, sono punti fermi per una forza politica di sinistra.
Basta rileggere l’articolo della Costituzione dedicato a questo tema per ritrovare la bussola che è venuta a mancare.
La svolta di Elly Schlein che sui temi sociali sta segnando punti importanti dovrebbe completarsi con una revisione delle posizioni sul tema della pace e della guerra, trovando -sono convinto- un terreno fertile di consensi nell’opinione pubblica italiana.
L’assunzione di una posizione autonoma non significa, ovviamente, uscire dallo storico sistema di alleanze dell’Italia, come ci hanno insegnato i grandi politici della prima Repubblica, Berlinguer, Moro e anche Craxi e persino Andreotti.
Infine, dopo la conta dei morti, pubblicata dal New York Times, non è possibile non interrogarsi sul valore della vita umana, sul carattere orrendo della guerra che tutto travolge e distrugge, sulle ferite che lascia negli animi ancor prima che nelle carni.
Prima di tutto la Pace, era lo slogan di Enrico Berlinguer, ancora profondamente vero nel nuovo secolo.
Enrico Rossi
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