C’era molta attesa, venerdì scorso, per i dati americani relativi al mercato del lavoro, perché si pensava che in qualche modo potessero definire, in un senso o nell’altro, i futuri comportamenti della Fed in materia di politica monetaria. Ed invece, osservando le reazioni dei mercati, e delle correlazioni intermarket, va detto che l’indecisione e l’incertezza sembrano ancora dominare la scena. I non farm payrolls sono usciti in leggero aumento rispetto al consensus, con un incremento di 187 mila posti di lavoro nel settore non agricolo, ma i due dati precedenti sono stati rivisti al ribasso di 110 mila unità. Inoltre, il tasso di disoccupazione è salito al 3.8% dal 3.5% del dato di luglio e di gran lunga peggiore delle previsioni (invariate al 3.5%). Si tratta del dato peggiore dal Febbraio 2022, segno che qualcosa anche sul mercato del lavoro sta cambiando, anche se per esempio la partecipazione della forza lavoro è cresciuta al 62.8% rispetto al 62.6%. Nel frattempo il rapporto relativo all’Ism ha evidenziato una flessione del settore manifatturiero meno importante del previsto, segno comunque di una certa resilienza dell’economia. Dati leggermente peggiori se guardiamo il quadro generale, ma non sufficienti per avere certezza che la Fed possa chiudere il ciclo di inasprimento dei tassi. Ecco perché i mercati hanno reagito in modo controverso, anche se va detto che qualcuno, tra i diversi settori, sembra mentire, e prima o poi forse lo scopriremo. Le borse hanno chiuso leggermente in attivo, specie Wall Street che ha chiuso in positivo con il Dow e l’S&P, mentre il Nasdaq ha chiuso la seduta leggermente in rosso. Nella settimana, tutti e tre gli indici alla fine hanno chiuso in crescita, tra lo 0.6% e il 2.6%. E fin qui quindi tutto apparentemente normale se non fosse che sul mercato dei cambi, anziché assistere ad un calo del dollaro, come sarebbe dovuto essere di fronte ad un mercato azionario positivo e ad un dato leggermente più negativo del solito, per il principio che è valso fino ad ora “bad news are good news”, abbiamo notato uno scatto al rialzo della divisa statunitense che ha schiacciato le valute concorrenti chiudendo in deciso rialzo. Anche gli obbligazionari evidenziano un ulteriore calo dei rendimenti, segnale di una fine del rialzo dei tassi non troppo lontana.
VALUTE.
Il dollar index è salito di circa l’1% dai minimi di giornata chiudendo a 103.94 da 102.94 minimo di venerdì mattina. EurUsd, che come sappiamo, partecipa al dollar index con una percentuale superiore al 50%, è sceso reciprocamente di circa 100 pips da 1.0880 a 1.0780, cos’ come il Cable che ha ceduto circa 140 pips dai massimi. Un movimento impulsivo che sembra strutturale, e che riporterebbe il mercato, se la correlazione fosse quella vista recentemente, in condizione di risk off, con borse in ribasso. Ed invece gli azionari hanno tenuto a dimostrazione che qualcuno mente, anche se siamo propensi a ritenere che questa volta a forzare la mano sia l’equity. Sempre sui cambi, dopo un iniziale discesa del biglietto verde contro Jpy, il biglietto verde ha rilanciato e ha chiuso decisamente in positivo anche contro valuta giapponese, dato che ha chiuso a 146.22 dopo aver visto dei minimi a 144.44. Un recupero che ripropone il tema di un dollaro valuta rifugio che sarebbe la spiegazione logica ad un mercato in tensione, il che per ora non ci pare corrispondente ai livelli di equity ma neppure agli indici di rischio. Il vix infatti scende imperterrito da metà agosto, quando era a 18 mentre ora è sceso a 13, ma anche l’indice paura e avidità, è ancora in area di appetito al rischio a 56. Il che dimostra ulteriormente come il mercato sia irrazionale e incerto in questa fase dell’anno. Tra le altre valute segnaliamo la discesa anche delle oceaniche, che però hanno tenuto meglio di Euro, Jpy e sterlina, tanto che i cross EurAud, EurNzd, GbpAud e GbpNzd sono scesi sui primi supporti rilevanti, pur mantenendo un tono rialzista di medio termine. Scende anche il dollaro canadese, schiacciato dalla divisa Usa, dopo la pubblicazione del Pil canadese, che nel secondo trimestre si è fermato salendo la metà di quanto salito nel trimestre precedente, a +0.3%. Si intravedono gli effetti dei rialzi dei tassi che hanno fermato improvvisamente la ripresa. Calano gli investimenti immobiliari, in ragione dei maggiori oneri finanziari sui mutui. Su base annuale il Pil risulta addirittura in calo dello 0.2%.
PETROLIO.
Salgono ancora i futures del greggio con il Wti sopra gli 85 dollari al barile, il livello più alto dal Novembre scorso, con un guadagno del 6.5% solo questa settimana. Le ragioni sono legati alle riduzioni dell’offerta e dalle ulteriori aspettative di tagli alla produzione decisi dall’Opec+. Solo l’Arabia Saudita ridurrà la produzione di 1 milione di barili al giorno fino al mese di ottobre, così come la Russia. Le scorte negli Usa sono scese di 10.6 milioni di barili in una settimana contro aspettative di discesa di 3.3 milioni. Tendenza ancora in rialzo quindi e grande interesse per le price action
DATI MACRO.
Sul fronte dati non c’è da attendersi molto questa settimana, con l’attenzione che si sposta sui Pmi dei servizi, gli ordini all’industria, e i dati sulla bilancia commercia nel negli Stati Uniti. In altre aree, attenzione alle decisioni sui tassi in Australia e Canada, mentre per quel che riguarda l’inflazione, pubblicheranno i loro dati la Turchia, il Messico e la Russia. Pubblicazione del Pil anche in Australia e Svizzera, mentre i Pmi dei servizi verranno resi noti anche in Cina, Italia, Spagna e Brasile.
Saverio Berlinzani
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