Ho ascoltato Claudio Rocchi la prima volta per caso l’estate scorsa ad un concerto di tre tenori nella piazza di una cittadina umbra, all’interno di una di quelle manifestazioni estive che fortunatamente i comuni –grazie anche all’arrivo di amministratori giovani e di solito più colti che in passato– caratterizzano sempre più con contenuti con un minimo di spessore culturale.
Questo genere di “sfide”, non sono adatte per valutare appieno il valore di un cantante lirico in quanto condite di lazzi, frizzi, sceneggiate, molto apprezzati dal pubblico di questi pot-pourri musicali, nonostante ciò Rocchi mi colpì immediatamente per la qualità della voce. Prima impressione pienamente confermata in due successivi appuntamenti, questa volta sotto forma di recital.
Ora Rocchi è di fronte a me, e lo intervisto per capire innanzitutto se un tenore di grande talento abbia difficoltà ad affermarsi in un contesto musicale come quello italiano, dove peraltro è innegabile che da qualche anno si stia registrando un notevole ritorno di interesse verso la lirica e il Belcanto della nostra tradizione.
Luciano Priori Friggi: Rocchi lei mi ha impressionato subito per la naturalezza con cui canta. Sembra quasi che non abbia dovuto “faticare” per arrivare alla gestione perfetta della voce di cui oggi fa bella mostra, mi dice come ha cominciato?
Claudio Rocchi: È vero, devo tutto a mio padre. Siamo tre fratelli, tutti e tre tenori, come nostro padre. La nostra è una famiglia modesta, di lavoratori, ma unita come le erano le famiglie di una volta. Io sono nato ad Assisi, ma poi ci siamo trasferiti nel vicino comune di Bettona. Mio padre aveva un’officina meccanica, lavorava e cantava. Noi figli studiavamo e cantavamo. Io cominciai a farmi notare già alle medie.
LPF: Ha qualche aneddoto su questi primi passi?
CR: In terza media un’insegnante di tecnica, la prof.ssa Gabrielli –niente a che vedere con la musica– mi ascoltò in più occasioni, ne rimase molto impressionata e di sua iniziativa prese un appuntamento con una ex-cantante che veniva da Napoli per seguire i “Cantori di Assisi”. L’audizione andò bene, a tal punto che mi disse di non farmi sentire da nessuno.
LPF: La voleva tutta per lei?
CR: Mi disse così, testualmente: “Vai in farmacia, compra dei cerotti e chiudici la bocca”.
LPF: Dei cerotti sulla bocca?
CR: Sì, insomma, fino a 18 non avrei dovuto farmi sentire da nessuno, né avrei dovuto esercitarmi. Mi disse che il cielo era stato benevolo con me e che dovevo solo aspettare che lo sviluppo fisico facesse il suo corso senza interferenze.
LPF: E lei seguì il consiglio?
CR: Non del tutto.
LPF: Comunque mi sembra che si sia salvato lo stesso, madre natura è stata davvero generosa con lei.
CR: [ride] Probabile che sia così, però non ho imboccato subito la strada della professione, prima ho provato persino ad arruolarmi nell’esercito.
LPF: L’hanno riformata?
CR: No, non mi hanno preso per pochi punti in graduatoria. Allora mi sono arruolato nei pompieri.
LPF: E come è successo che la lirica riprendesse il sopravvento?
CR: Grazie a Luciano Pavarotti.
LPF: Dai pompieri a Pavarotti il salto è grosso.
CR: In quel momento lavoravo in fabbrica e frequentavo il conservatorio, ero uno studente lavoratore. E qui l’imponderabile mi venne incontro. Mio nonno si ricoverò in ospedale, parlò di me con una persona incontrata per caso, magnificando la mia voce; questa gli disse che ne avrebbe parlato alla cuoca di Pavarotti, una sua conoscenza. Naturalmente non ci aspettavamo nulla.
LPF: Invece?
CR: Invece un giorno, mentre al mattino ero in azienda, arriva una telefonata di mia madre. Mi avvertono, mi precipito a rispondere, ero preoccupato, che poteva essere successo? Mi dice: “alle tre del pomeriggio di oggi devi essere a Pesaro da Pavarotti”. Rimango senza parole, “dico al patron, devo partire, devo andare da Pavarotti”, e lui “vai, vai”.
LPF: Da solo?
CR: No, con mio padre.
LPF: E Pavarotti cosa le disse?
CR: Di cantare qualcosa. Io ero venuto con un pianista amico, ero pronto, e cantai l’aria “Vaghissima sembianza” di Donaudy e ”Se il mio nome…” dal “Barbiere di Siviglia”.
LPF: E a Pavarotti piacque?
CR: Mi fermò quasi subito. Mi portò nell’ampia vetrata che dominava dalla collina il porto di Pesaro, mi indicò l’orizzonte e mi disse, “Vedi quella nave laggiù? Ti devono sentire fin là”.
LPF: Emozionato.
CR: Un po’ sì, cantavo senza metterci forza. Con la coda dell’occhio vidi l’amico pianista stringere i pugni come per dirmi “dai, fagli vedere cosa sai fare”. Mio padre, ascoltava, ritto, in silenzio, le braccia conserte. Ripresi a cantare. Pavarotti, chiuse gli occhi e mi accompagnò muovendo le labbra per tutto il resto della romanza.
LPF: Deve aver funzionato se un giornale francese, riportando le impressioni di un suo concerto, ha scritto “Des airs d’opéra ont fait vibrer le murs du conservatoire” [“Melodie d’opera hanno fatto vibrare i muri del conservatorio”].
CR: [ride]
LPF: E che altro successe?
CR: Mi diede dei consigli, su come fare un passaggio in modo più espressivo, dove rallentare, dove accelerare, e tanti piccoli segreti del mestiere. Periodicamente andavo da lui, portando dei brani. Quel che anch’egli mi raccomandò fu di non andare a farmi rovinare la voce presso qualche docente di canto.
LPF: Quanto durò questo rapporto con Pavarotti?
CR: Cinque anni, in pratica fino alla morte.
LPF: Le sarà costato una fortuna.
CR: Non volle niente.
LPF: Cosa deve al grande tenore?
CR: Era una gran persona, mi diede dei consigli preziosissimi. È grazie a lui che presi coscienza del mio valore.
LPF: Ha qualche aneddoto particolare da raccontare?
CR: Prima di me c’era una signora per un provino. Raccontò che faceva un lavoro di commessa, ma che per la gran passione per il canto avrebbe voluto farne un mestiere. A Pavarotti non piacque, e le disse bruscamente che avrebbe dovuto continuare a fare quel che stava facendo e lasciare stare il canto. Era presente anche il marito di lei che provò a ribattere, e allora Pavarotti indispettito gli disse “ma che ca..o ne sa lei di canto?”
LPF: Dopo questo incontro era ormai pronto per il gran salto.
CR: Invece no, non avevo più il punto di riferimento che avevo avuto fino a quel momento. Mi persi, mi fidai di troppe persone, fino a cambiare il mio modo di cantare. Mi resi conto che stavo sbagliando. Pavarotti una volta mi aveva detto “La voce non la devi fare, la devi dare”, scottato dall’esperienza, lo seguii alla lettera. E cominciai con i primi concerti in Italia e all’estero.
LPF: Che tipo di tenore è lei, c’è qualche somiglianza con la voce di Pavarotti, che qualcuno mi sembra di ricordare ha definito tenore leggero?
CR: La mia è una voce più “scura” in confronto a quella di Pavarotti.
LPF: È riuscito a “sfondare”?
CR: Sfondare in senso stretto purtroppo no, comunque la carriera continua, anche con buoni risultati, ma ho sempre pensato che avrei potuto fare di più.
LPF: Da quel che mi ha raccontato, indubbiamente ha perso del tempo prezioso da giovane, non sapendo esattamente cosa farne di queste sue doti. Ma poi c’è qualcos’altro cui addebitare questa mancanza di risultati sperati ai massimi livelli?
CR: In effetti non aver intrapreso subito la carriera non mi ha permesso di collocare per tempo la mia professionalità in una di quelle 4/5 grandi agenzie che dominano questo settore, se non ne fai parte, e non è facile entrarvi se non cominci ventenne, ti devi spesso accontentare di quel che rimane al di fuori dei grandi appuntamenti.
LPF: Dove ha cantato in Italia?
CR: L’elenco è lungo, Roma, Arezzo, Rieti, Tivoli, Potenza, Desenzano del Garda, Montecchio Maggiore, Spello, Castiglion del Lago, Foligno, Perugia e sicuramente dimentico qualche altro luogo.
LPF: E all’estero?
CR: Attualmente vado spesso in Polonia, dove ho cantato di fronte a 5.000 persone, ma ho cantato in Francia, in Giappone, in Svizzera, in Ungheria, negli Usa, a Malta e persino in Algeria.
LPF: Il suo repertorio operistico cosa annovera?
CR: “Cavalleria Rusticana”, “Pagliacci”, “La Traviata”, “Tosca”, “La Bohème”, “Salomé”, “Aida”, “Madama Butterfly”, “Un ballo in maschera”…
LPF: Lei ha in repertorio anche le più celebri melodie della canzone italiana, io ricordo di averla ascoltata in una sua splendida esecuzione di “Torna a Surriento”.
CR: Certamente, la canzone napoletana, ovviamente c’è un classico come “O’ sole mio”, poi la già citata “Vaghissima sembianza” e altri pezzi.
LPF: Quanto conta oggi la qualità?
CR: Purtroppo sempre meno, a tutto vantaggio dell’apparire. L’onnipotenza della tv ha fatto scuola.
LPF: Ma lei non si rassegna ed è passato alla riscossa con programmi e iniziative che meritano attenzione. Oltre alle sue prestazioni individuali, ha messo a punto un prodotto a “pacchetto”. Me ne può accennare?
CR: Sì, volentieri. Ci punto molto. Ho fondato la “Incantico Suite Orchestra”, una piccola orchestra di 10 elementi, che ha già al suo attivo diversi concerti a Roma e in Umbria, formata da musicisti professionisti. È diretta dal M° Michele Margaritelli.
LPF: Ho avuto modo di ascoltarla in un recital con questa orchestra, insieme a lei cantava la soprano Monica Colonna. Ne ebbi complessivamente un’ottima impressione. Bisognerebbe vedere se una simile configurazione può essere la base per costruirci su una proposta “chiavi in mano” anche di opere complete.
CR: [Gli si illumina il viso] È esattamente ciò che vogliamo arrivare a fare.
LPF: A giudicare dall’entusiasmo e dalla determinazione con cui me lo dice, e dopo avervi ascoltato dal vivo, credo anch’io che potrebbe essere un salto alla sua e alla vostra portata. I miei migliori auguri.
CR: Grazie, davvero.
Termina qui l’intervista a Claudio Rocchi, un tenore nel pieno del suo vigore fisico, con una voce di una naturalezza rara, che mi auguro di poter ascoltare di nuovo al più presto, ma soprattutto mi aspetto di vederlo a lungo raccogliere successi in Italia e nei teatri di tutto il mondo, individualmente e con la sua orchestra.
Luciano Priori Friggi
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