Il pensiero di Ermete egizio, detto Trismegisto, e cioè tre volte grandissimo, costituisce in Occidente il principio di ogni umana costruzione politica dell’essere, civile e/o religiosa, quale che sia. Ovvero: una teoria o idea della <ragione> (poi illuminista), nient’altro che un assioma matematico o un dogma verbale. Ovvero: un postulato duale, e cioè meta-fisico, dell'<essere> in connessione agli <enti>, termini da intendersi entrambi nell’accezione del significato originale, propri del pensiero viceversa <iniziale> heideggeriano.
La teoria generale di Ermete, platonica o neoplatonica dell’essere che viceversa <è>, rappresenta quindi soltanto il frutto immaturo e acerbo – in relazione all’unico e medesimo <impulso> di cui dice esattamente Plutarco nell’adversus Colotem – che il supposto autore del Corpus Hermeticum ci ha lasciato in dote testamentaria: “La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le nostre stesse prove.
La verità va dosata a misura dell’intelletto, dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma letale.
Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere.
La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il silenzio la tua corazza impenetrabile”.
Ma: da sempre e prima del pensiero di Ermete, nell’essere risuona continuamente l’eco perenne e incontrovertibile della <verità> e cioè della struttura “segreta” e “disvelata” dell’essere-Medesimo; attraverso l’intero ciclo dell’arte o scienza della filosofia, alla maniera che dice Aristotele nella sua Metafisica, da Parmenide a Heidegger e ritorno. Così che: “allora di via resta soltanto una parola che: <è>”.
Angelo Giubileo
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