La moglie dell’importante esponente di Al- Fatah Marwan Barghouti, Fadwa, ha incontrato nelle ultime settimane personalità di spicco di tutto il mondo arabo, e importanti diplomatici negli USA e in Europa, chiedendo loro di agire per ottenere il rilascio del marito dalle prigioni israeliane. Così informa ora il quotidiano israeliano controcorrente “Haaretz”, citato a sua volta dalla newsletter dell’associazione “AssopacePalestina” (che organizza, periodicamente, dibattiti e incontri sul problema israelo-palestinese, e viaggi di studio e approfondimento in Israele e nei Territori occupati di Cisgiordania).
Fonti vicine a Barghouti confermano che la serie di incontri tenuti da Fadwa Barghouti, avvocato, ha lo scopo di creare inoltre un sostegno internazionale all’ipotesi che il marito possa guidare l’Autorità Nazionale Palestinese alla fine del mandato dell’attuale presidente Mahmoud Abbas, “Abu Mazen”, ormai 87nne.
Ma chi è, Marwan Barghouti? Di Kobar, in Cisgiordania, laureato in Storia e in Scienze Politiche, e con un Master of Arts in Relazioni internazionali), Barghouti viene eletto nel Consiglio Legislativo Palestinese nel 1996, difendendo, da parlamentare, il processo di pace israelo-palestinese (all’epoca da poco iniziato con gli accordi di Oslo e di Washington del 1992 –‘93) come una “necessità”. Si afferma nella struttura politica di Al-Fataḥ, la fazione maggioritaria dell’OLP, divenendone Segretario Generale per la Cisgiordania. Dopo aver già avuto un importante ruolo nella prima Intifada del 1987, nel 2000 partecipa alla seconda Intifada, scatenata dai palestinesi dopo il fallimento dei nuovi colloqui di pace tra Ehud Barak (che pure era andato considerevolmente incontro alle richieste palestinesi) e Yasser Arafat, con Bill Clinton mediatore, a Camp David, e la provocatoria passeggiata di Ariel Sharon (settembre 2000) sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme.
Nella seconda Intifada, Barghoutī, considerato capo del Tanẓīm-Fatḥ, ala militare di Al-Fataḥ, si diversifica, dando il via a un sottogruppo chiamato Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Nel 2001 viene sventato un tentativo di assassinarlo, preparato dall’apparato militare israeliano; nel 2002 Israele cattura Barghoutī, che viene imputato di omicidio con finalità terroristiche compiuto da uomini al suo comando. In un processo pubblico, il leader palestinese rifiuta di riconoscere la legittimità del tribunale israeliano e la legalità del dibattimento, rifiutando quindi anche di difendersi. Il 6 giugno 2004, Barghoutī è condannato a cinque ergastoli per i cinque omicidi di cui è stato dichiarato colpevole, e a 40 anni di carcere per un tentato omicidio.
Durante la sua campagna – informa ancora “Haaretz” – Fadwa Barghouti ha incontrato il ministro degli Esteri giordano Ayman a-Sfadi, il suo omologo egiziano Sameh Shukri, il segretario generale della Lega araba, Ahmed Abu al-Gheit, e il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov.
Barghouti – che ha da tempo annunciato ufficialmente di volersi candidare alle nuove elezioni presidenziali palestinesi – è costantemente il favorito nei sondaggi degli ultimi anni, con percentuali di oltre il 60%, ed è particolarmente popolare tra le generazioni palestinesi più giovani e di media età.
Abu Mazen – che è anche presidente di Fatah e dell’OLP – non ha un vice, e in Cisgiordania si prevede che la scelta del suo successore avverrà anzitutto all’interno di Al Fatah. Tuttavia, senza un sostegno almeno tacito da parte di influenti Paesi della regione, qualsiasi successore non può farcela. La cerchia di Barghouti ritiene poi che, a parte le elezioni del Capo dello Stato, anche se si andasse a votare per le elezioni politiche (le ultime, nei Territori occupati, furono nel 2006), ciò potrebbe portare a pressioni internazionali per il suo rilascio, nonostante la contrarietà israeliana.
Tuttavia, finché Abbas sarà a capo dell’Autorità Palestinese non ci saranno elezioni: essendo – sottolinea da anni Abu Mazen – troppo grave la frattura tra Al Fatah e Hamas (che, com’è noto, comanda dal 2007 a Gaza, ed ha una cospicua presenza anche in Cisgiordania). Hamas, infatti, pur avendo anch’essa riconosciuto (ma solo indirettamente) l’esistenza dello Stato d’Israele accettando di partecipare già alle scorse elezioni politiche nei Territori occupati, non è disposta a conformarsi agli accordi firmati sinora dall’OLP con Israele. Mentre Abu Mazen sta cercando – da Arafat del 2023, diremmo – di promuovere uno schema in cui tutte le fazioni palestinesi siano soggette all’OLP, anche per quanto riguarda gli accordi firmati con Israele, e si limitino a forme di lotta popolare non violenta. Hamas e la Jihad Islamica in Palestina, invece, considerano qualsiasi forma di lotta, anche violenta, come una risposta legittima e necessaria all’occupazione israeliana.
La situazione è bloccata: né a sbloccarla sono serviti i recenti incontri tra i leader delle fazioni palestinesi in Turchia e in Egitto, soprattutto tra Abbas e il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. I due si sono incontrati l’ultima settimana di luglio ad Ankara, in una conferenza sponsorizzata dal presidente turco Erdogan, e di nuovo Domenica 30 luglio ad Al-Alamein (…la storia si riaffaccia sempre in primo piano, diremmo!), sulla costa settentrionale dell’Egitto, nel tentativo di avanzare un progetto di riconciliazione e cooperazione interna. L’incontro si è concluso senza risultati operativi, ma Abbas ha annunciato la formazione almeno di un comitato congiunto, per continuare a discutere uno schema concordato di documento programmatico.
Fabrizio Federici
(da “Avanti Online”)
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