La montagna, con i suoi ritmi pacati, l’immediatezza dei rapporti umani che caratterizza i piccoli borghi, la ricchezza di prodotti tipici, di piatti che si richiamano a ricette del passato, ha straordinari momenti di convivialità.
Ecco perché una tavolata di parenti di tre generazioni , ai bordi di un laghetto sul Cimone fra tortelloni e funghi, grigliate e mirtilli mi ha richiamato alla memoria un bel libro di Francesco Guccini pubblicato un paio di anni fa.
S’intitola “Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)” : queste serate tra amici si tengono in epoche diverse nell’arco di quasi un secolo e dove l’Appennino tosco emiliano non è un mero scenario ma quasi un coprotagonista.
La prima cena ha luogo negli anni ’30 nell’Appennino tra Bologna e Pistoia (quindi nell’area di Pàvana) in una notte d’inverno, mentre cade la neve, fino alla prima delle locande dove trascorreranno una notte di buon cibo e molto vino, di risate; una di quelle notti in cui “l’amicizia e la sazietà aiutano a non ascoltare i presagi della vita che corre”.
Le neve e il buio. Quel buio che solo in montagna si può percepite appieno offrono una location suggestiva e mi ricordano alcuni versi di Natale a Pavana: “Ehi, notte, che improvvisa sei discesa / Felina e silenziosa, come il lupo”.
La cena successiva ci racconta il mondo degli anni ’70. L’ultima – che non è in realtà una cena, bensì un pranzo di mezza estate che si protrae fino a un grande falò notturno – si svolge ai tempi nostri , nel giorno di un’eclissi di sole.
L’autore, avverte: “Non aspettatevi grandi avvenimenti dalle cose che andrò raccontando!” – ci avverte l’autore- “fulminanti colpi di scena come agnizioni improvvise o finali drammatici o misteri iniziali che poi, a poco a poco, logicamente sgretolati dalle deduzioni di un abile investigatore, si dipanano e si mostrano in tutta la loro enigmatica chiarezza” . Ma proprio qui è il carattere insolito e avvincente di questo libro (da Giunti Editore 2021). Guccini sottolinea, in effetti, che si parla di una cena e di alcuni amici, “una storia di quelle, quasi come le favole che ci raccontavano da piccoli, già sentita tante volte ma che amavamo ci raccontassero ancora e ancora, per il solo piacere di stare lì ad ascoltare.”
E ritroviamo quel gusto della parola di cui Guccini è maestro. Quando si raccontano eventi éclatanti –essi inevitabilmente focalizzano l’attenzione del lettore decolorando tutto il resto.
Questo libro ,invece, in cui gli eventi della storia restano sullo sfondo, consente di gustare atmosfere di altri tempi che fanno parte dei nostri ricordi o quelli dei nostri genitori o dei nostri nonni. Quindi, tre storie che divengono una sola
Anche se non ci sono riferimenti espliciti o impliciti leggendo il libro sembra quasi di avvertire l’eco di alcune tra le canzoni-poesie che hanno reso celebre Francesco Guccini. Penso – tanto per citarne solo alcune – a Radici, (senti voci forse di altra età) a Canzone di notte n 2, a Eskimo o a Canzone per Piero (un brano che fu inserito nella prova dell’esame di Stato del 2004 tra le fonti sul tema dell’amicizia come ispirazione poetica nella letteratura). E ci metterei anche Autunno (Le storie credute importanti/ Si sbriciolano in pochi istanti / Figure e impressioni passate / Si fanno lontane e lontana così è la tua estate).
Dalla povertà degli anni Trenta alla disillusa fine del Novecento, passando dalle speranze della modernizzazione che segnò gli anni ’60 e ‘70, nelle tre compagnie di amici che si avvicendano, nei loro scherzi, nelle loro sbronze, nei cibi che scelgono di mangiare ritroviamo il sapore del nostro passato.
Se la prima cena ha la suggestione quasi epica di un tempo perduto, la seconda è forse il momento cloudella narrazione perché attiene a quei contraddittori anni ’70 che segnano un nuovo cambio d’epoca, mischiando speranze e delusioni e mi sono ritrovato a intersecare il racconto con alcuni celebri brani del grande cantautore.
Inoltre, la coinvolgente presenza Appennino tosco emiliano, che non ha ovviamente la maestosità delle Alpi. ma con i suoi boschi, i suoi torrenti, gli antichi borghi ha un fascino particolare, specie nelle aree di confine fra le due regioni dove usanze, tradizioni si amalgamano. E Pavana ne è l’esempio. All’estremo nord del Comune di Sambuca pistoiese è una sorta di enclave toscano incuneato in territorio emiliano.
Guccini sottolinea in modo icastico che nell’Appennino non troviamo monti di rocce né di nevi eterne ma montagne ricoperte di castagni, faggi, abeti e…mirtilli. E troviamo varie e vivaci descrizioni come quella del materiale ferroso che arrivava in Appennino dalle cave dell’isola d’Elba perché qui c’era abbondanza di acqua e di legna per alimentare le fornaci.
Ma ancora di più le vicende umane che fanno emergere il ricordo e le correlate sensazioni ed emozioni. Incontri conviviali, dove si racconta, si scherza, si fa onore a cibi prelibati dai crostini alla polenta, ai maccheroni e dove il vino è sempre protagonista.
Nel frattempo si narrano le storie dei personaggi che ci portano nell’Italia fra le due guerre, nelle feste paesane con tanto di albero della cuccagna, nella tragedia dell’ Armir e dei dispersi in Russia.
Guccini scrittore, come Guccini autore di canzoni ha una straordinaria capacità maieutica. Con immagini vivide talvolta racchiuse in una sola parola, crea situazioni e atmosfere.
La seconda cena è altrettanto densa di emozioni e di sentimenti. Scherzi e facezie , segnano l’ottimismo che dopo gli anni c.d. miracolo economico sottolineano l’uscita dell’Italia da una endemica penuria e preannunciano una stagione nuova. Ci sono battute tra comunisti e democristiani,(avversari politici ma senza acrimonia), ricordi della Resistenza, aneddoti. Ma poi si giunge al momento della disillusione e il ricordo di quella serata è all’insegna dell’inesorabile passare del tempo e del disincanto.
Lo scenario appenninico aggiunge la dimensione dell’immensità con panorami mozzafiato sui due versanti (pensiamo, ad esempio, alla vetta del Cimone dove lo sguardo spazia dalle Alpi all’Umbria o al Libro Aperto). Ma ad esso si aggiunge il fascino discreto, sottile, dei luoghi riposti, dei piccoli angoli di mondo.
Questo fascino emerge appieno nell’ultimo episodio della trilogia, in un pranzo che dura fina a sera. A Case Bentini una località appartata che i più animosi raggiungono volentieri a piedi.
E’ uno di quei pranzi che in Appennino, nel periodo di Ferragosto, sono consueti: persone che si ritrovano, altre che non conosciamo e che forse non rivedremo più ma che per un momento sono affratellate dalla convivialità.
In questa allegra brigata il cibo è al centro dell’attenzione in un melting pot tosco emiliano
Nel libro di Guccini di parla dei maccheroni sul papero, di cantuccini e vin santo e via dicendo e naturalmente il bere la fa da padrone In quell’occasione c’era anche l’eclissi a focalizzare l’attenzione e a evitare la sottile malinconia che si lega ai ricordi. Ma il finale porta una nuova emozione attraverso l’andamento circolare della narrazione.
Racconta quando ancora bambino andava con i genitori a passare il Natale a Pavèna dove aveva trascorso l’infanzia. ..
E ritrova la casa dei nonni, (uso la traduzione ma la canzone è nel dialetto di Pàvana) “col pavimento di tavole di castagno /
e i sacchi ammonticchiati lì di fianco ai muri e l’acqua che scorreva dal bacino per far / andare il mulino” […..]
Poi commenta (uso sempre la traduzione) :
Era, era casa mia,
io ero tornato a casa mia,
al mio fiume,
ai miei monti, al mio mondo
Un commento che è certamente condiviso non solo da chi è emigrato in terre lontane ma molti di noi che hanno lasciato i piccoli centri di campagna per le città o le aree metropolitane.
Il problema è che spesso – e non parlo di Pàvana o dell’Appennino ma piuttosto di quelle aree della Toscana entrate ormai nell’ottica della città diffusa – non ritroviamo più quel mondo.. E allora per ricrearlo andiamo altrove in località appartate della montagna, in isole semideserte, in borghi abbandonati.. Ma riusciremo mai a trovarlo ?
Gabriele Parenti
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