Ci informa Repubblica che a Cernobbio i grandi imprenditori sono favorevolissimi al salario minimo. Non stupisce, per carità. Però siccome è divertente, facciamo una carrellata:
1. Amazon. Una premessa, la dichiarazione di Mariangela Marseglia, AD di Amazon Italia, non parla di salario minimo perché lei è una professionista e Amazon non è nata ieri. Semplicemente dice che se lo implementano a loro frega nulla, tanto pagano più del minimo.
Dopotutto Amazon campa con il cloud e il settore ecommerce è stato pensato in perdita, quindi alzate pure i minimi, loro non ne sono toccati.
2. Brembo. La Brembo, forte dei suoi cinque stabilimenti in Cina (cit.), tramite il fondatore Bombassei ci dice che è fondamentale il salario minimo. Che non li toccherà perché tanto applicano il CCNL e quindi li pagano di più i loro dipendenti.
3. Nhoa. Chi? Azienda attiva nella transizione verde. Settore che vive e muore grazie a politiche coercitive pubbliche di sinistra è incredibilmente a favore di una politica pubblica coercitiva di sinistra. Immaginate il mio choc.
Al di là di tutto, che i grandi siano favori al salario minimo non stupisce. Prima di tutto, competendo per le migliori figure sul mercato, hanno già orizzonti di prezzo abbastanza ampi da fregarsene del minimo. Inoltre un salario di stato depotenzierebbe la contrattazione collettiva e potrebbe mettere pressione sul Governo per abbassare il cuneo fiscale. E’ positivo quindi?
Manco per il quarzo. Intanto la folle idea che i salari debbano essere uniformi da Catanzaro a Milano è idiota e il reddito di cittadinanza lo ha dimostrato. Secondo, il salario minimo a Milano avrebbe un impatto irrisorio, ma a Catanzaro sommergerebbe il lavoro più povero, togliendolo dai radar. Quando non direttamente dal mercato. sarebbe poi devastante sui conti pubblici, perché molti servizi, quelli che l’italiano vuole universali e pagati dagli altri, rischierebbero di non avere chi li fa ai prezzi che gli enti statali e locali possono permettersi.
Poi c’è un piccolo retropensiero, tipico del capitalismo di relazione: il salario minimo colpisce i piccoli, i piccoli sono un verminaio da cui può nascere la concorrenza. Tanto vale fermarli da subito, no? Ecco, questo è. Quanto alla storia degli stipendi fermi, la motivazione è banale: è ferma la produttività. E la produttività è ferma per eccesso di tasse (soprattutto di contributi) e di burocrazia. E se la burocrazia si potrebbe anche tagliare, sui contributi dobbiamo essere chiari: per tagliarli ci vuole un atto di forza sulle pensioni.
Atto che nessuno intende fare. Pertanto l’Italia, salario minimo o meno, è ancora condannata. Però andremo a fondo con il sorriso, sapendo che la Brembo, dall’alto dei suoi cinque stabilimenti in Cina, ci considera dei biechi sfruttatori.
Luca Rampazzo
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