Da oltre mezzo secolo è la bambola più famosa,ma anche la più criticata, e l’evoluzione del modo in cui è stata promossa l’ha portata fino al cinema.
Difatti una delle iniziative più recenti di Mattel per cercare nuove fonti di guadagno, ma anche un altro modo per continuare a far restare Barbie interessante per il pubblico, riguarda il cinema. Oltre sessant’anni dopo la sua prima apparizione, la bambola è la protagonista del film dell’attrice e regista femminista Greta Gerwig, il primo film non di animazione sul mondo di Barbie e il primo pensato per il cinema e non per la tv.
Ed è anche chiaro l’obiettivo :trasformare Barbie da leggenda in un’icona contemporanea per l’era dei social media
Non potevo non andare a vederlo.
Con Margot Robbie nei panni della famosa bambola Mattel, il film è un comedy-drama. La trama segue le avventure di Barbie nel mondo reale dopo che è stata cacciata da Barbieland per avere avuto “pensieri e interrogativi esistenziali”. Infatti domande come “Ragazzi, pensate mai di morire?” generano uno scollamento di Barbie dalla sua condizione prettamente ludica e la spingono verso un’altra diametralmente opposta, più umana.
Ma facciamo qualche passo indietro .
La popolarità e diffusione di Barbie, un oggetto diventato quotidiano per milioni di bambine, sollevò ben presto un acceso dibattito intorno alla questione se la bambola avesse un qualche tipo di responsabilità sociale, proprio per via del ruolo di modello che per molti versi aveva assunto.
Tanti suoi critici puntarono sul fatto che proponesse un’immagine irrealistica della donna, come se gli altri giocattoli fossero aderenti alla realtà, a livello fisico e di possibilità. Ci fu poi il partito di chi la criticó perché poco inclusiva, ma nel corso degli anni (la prima Barbie afro-americana è del 1968) ne sono state prodotte così tante versioni che qualsiasi segmento della popolazione può dirsi rappresentato.
Dunque una bambola inizialmente chiusa in un cliché estetico, nel tempo è diventata simbolo di tante femminilità e personalità di donne. Un’umanità più ricca e complessa che occupa il suo posto nel mondo, da protagonista. Rappresenta qualunque donna, la sua fondamentale emancipazione, o meglio la sua concezione alternativa del proprio essere.
Essere Barbie non significa allora avere una vita come il prodotto solo di bellezza, colore, fantasia ed entusiasmo, essere Barbie significa esprimere il proprio mondo (qualunque esso sia), in modo impeccabile, possedere una capacità sorda nell’essere ciò che si vuole.
Quando si smette di giocare con la Barbie o le Barbie?
Perché se l’età di possibile entrata in questo mondo è chiara, intorno ai 3 anni, non si può dire la stessa cosa di quella di uscita anche senza arrivare all’estremo del collezionismo.
In verità quello con le Barbie non era un gioco: con lei si esploravano (improbabilissime) vite da adulte: si giocava fingendosi adulti e adulte con tutto il significato che si dà a quella parola quando si hanno otto anni.
E si smette di giocare quando il sogno si infrange, quando ci si accorge di non essere circondate da lusso, ozio, da Ken che ci venera e soprattutto quando ci si rende conto di non poter avere un fisico pazzesco senza compiere alcuno sforzo. E un sorriso smagliante e tutti quei vestiti strepitosi…
Ma in effetti lo sapeva anche lei, Barbie, che una vita così non è realistica. Infatti a partire dagli anni Duemila chiuse nell’armadio l’abito vaporoso di “Luce di stelle” che si illuminava spegnendo la luce per indossare il camice da chirurgo. O la tuta da astronauta…
Ma torniamo al film .
È un viaggio tra nostalgia e attualità e tra leggerezza e giocosità la coppia Gerwig-Baumbach ,attraverso un mondo di plastica dalle tinte pastello, fa riflettere anche sulla parità e disparità di genere.Si porta sul grande schermo un manifesto femminista tutt’altro che prevedibile, tutt’altro che banale. Ma non solo. Tra battute geniali, risate omaggi a ‘Grease’, ‘La La Land‘ e alla commedia romantica ‘Kiss me’, la regista parla di emancipazione femminile in un mondo dove “il patriarcato esiste ancora, ma oggi lo nascondiamo meglio“, come si dice nel film.
È lì nella realtà il controverso ideale di perfezione non serve più . Barbie si sveste così dei suoi stereotipi affrontando ansia complessi e ispirazioni, trasformandosi da bambola in donna con tutte le difficoltà del caso, in primis di ruolo in una società patriarcale.
Forse è un film sulla libertà di evadere dallo stereotipo.? O forse è un film sull’equilibrio, perché solo con l’equilibrio si può ottenere la giusta consapevolezza capace di andare oltre il femminismo o il maschilismo?
Così, il film, si struttura in un discorso stratificato, che la regista allunga in un viaggio di molte andate e di molti ritorni, tra il mondo reale e il mondo delle bambole. Tutte e due le parti, però, sono la diretta conseguenza di uno squilibrio che altera il mito stesso dell’icona prodotta da Mattel.
Infine con la frase pronunciata dinnanzi a degli operai intenti a mangiarsela con gli occhi ‘ non ho la vagina ‘ si dichiara apertamente che i costumi e gli abiti indossati da Barbie nel film sono pensati per il divertimento del personaggio stesso e non per soddisfare lo sguardo maschile.È una bambola di plastica. Non ha organi. Se non ha organi riproduttivi, non può provare il desiderio sessuale.
Barbie indossa una gonna corta, perché è divertente e rosa. Non per farsi guardare il sedere.
E se Barbie scende dai tacchi per combattere per la libertà (in Birkenstock) e Ken non ha paura di essere fragile e di provare sentimenti (anche indossando pelliccia e occhiali da sole), si può iniziare a fantasticare su quando arriverà il giorno in cui potremo essere semplicemente noi stessi e unici nelle nostre imperfezioni.
Daniela Piesco
Lascia un commento