Ci vuole coraggio per proporre un titolo come La Tragedie de Carmen in teatri come Pisa o Livorno certamente più abituati a repertori “più facili” e conosciuti.
Per Pisa, dopo la Trilogia verdiana che ha fatto da anteprima alla stagione lirica invernale, Enrico Stinchelli lo ha fatto con il cipiglio di un uomo di spettacolo che, coscientemente, sceglie anche la strada meno agevole pur di offrire proposte meno scontate ma di qualità.
La Tragedie de Carmen, opera teatrale e cinematografica del regista Peter Brook (portata in scena per la prima volta al Téatre des Bouffes du Nord di Parigi nel novembre dell’1981), sostenuto dal prezioso lavoro di arrangiamento capace di portare ad un atto unico i tre atti dell’’opera di Bizet di Marius Constant, e dallo sceneggiatore Jean-Claude Carrière per il testo, rilegge la celebre opera di Bizet alla luce di una diversa prospettiva che esclude tutto ciò che di folcloristico o di spettacolare è presente per cercare un più intimo contatto con la tragedia personale e collettiva dei protagonisti.
Il lavoro di scavo di Brook ottiene risultati pregevoli: asciugata da ogni sovrastruttura, la storia si concentra sulle figure chiave, ognuna delle quali ha un suo modo di raccontarla e di viverla.
Purtroppo è forse ancora presto per sperare in una presenza di massa del pubblico abituale del Verdi, o forse il lavoro di preparazione che deve essere fatto ha bisogno di maggiore incisività: guardarsi intorno e vedere tanti posti vuoti ha messo un po’ di tristezza che è diventata, al termine della rappresentazione, un sincero rammarico per ciò che gli assenti si sono perduti.
Valeva la pena “spendere” quegli 82 minuti della durata dell’atto unico per godere di uno spettacolo decisamente interessante e complessivamente positivo nelle scelte dell’allestimento scenico e delle voci.
Scena unica, informale (cantiere di lavoro? Duna di sabbia? Deserto?) quella proposta da Maria Spazzi, posta al centro del palco, luogo fisico e metaforico delle storie che si intrecciano e dei drammi dei personaggi; costumi, quelli di Katarina Vukcevic, efficaci, contemporanei e al contempo atemporali perché poco conta la contestualizzazione cronologica nella lettura che Brook vuol dare alla storia; regia di Serena Sinigaglia forte, incisiva, potente nei gesti e nelle presenze come nelle assenze in quel luogo che fa e subisce la storia di Carmen.
Carmen, timida nei suoi sentimenti più profondi quanto sfrontata e audace nel rapportarsi col mondo esterno; la donna della libertà ad ogni costo, anche al prezzo della sua morte, anche al prezzo della “dannazione” di coloro che la desiderano e che la amano. Don José, Escamillo, Pastia e persino Micaela sottostanno a quella donna senza mediazioni che chiede ed ottiene, piegando i loro destini al suo.
Musicalmente, la Tragedie si apre con una Overture davvero lunga che forse potrebbe risultare più “digeribile” se riempita con immagini o coreografie anziché dipanarsi di fronte al sipario chiuso.
Il M° Eric Lederhandler cerca di offrire al meglio la partitura di Constant avvalendosi di una entusiastica ma forse non ancora rodata Orchestra del Teatro Goldoni di Livorno in ranghi cameristici con i 15 elementi previsti. Il risultato è a nostro avviso complessivamente positivo.
Positiva anche la performance del cast che vede la mezzosoprano marsigliese Lorrie Garcia dar vita e voce ad una Carmen di grande impatto; la sua voce, con una timbrica pastosa e suadente, asseconda perfettamente gli stati d’animo del personaggio e l’interpretazione, sempre misurata anche nei momenti più complessi, rende vero ciò che nella scena racconta. Interessante la prova di Tea Purtseladse, una Micaela fortemente introspettiva che pure trova il suo momento di confronto drammatico regalandoci momenti di grande emozione.
Per le voci maschili, Andrea Bianchi da’ di Don José, sia vocalmente che scenicamente, una visione virile e passionale mentre César Mendez Silvagnoli si propone, almeno vocalmente, come un Escamillo meno caratterizzato.
Non meno importante il ruolo degli attori a partire da David Remondini che oltre ad essere un ottimo Brigadiere, è un eccellente Lillas Pastia, aiutato da un testo che gli offre un’attenzione importante. Bravi anche Ludovica Tinghi (amica di Carmen ma anche una Vecchia Zingara di effetto) e Simone Tudda (Garcia e Zunica).
Applausi sinceri ed entusiasti alla fine della rappresentazione a dimostrazione che opere come queste, decisamente poco o nulla conosciute dal grande pubblico, se vedute ed ascoltate possono trovare il giusto consenso ed una autentica approvazione.
Stefano Mecenate
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